L’agitazione tra gli operatori di mercato, i media e nel mondo politico è stata forte. Con la sua politica, spesso imprudente e poco ragionata sul piano economico, Trump non solo rischia di distruggere la reputazione degli Stati Uniti come partner affidabile e orientato all’economia di mercato, ma i dazi imposti unilateralmente e in gran parte ingiustificati minano anche le norme e le istituzioni internazionali, fondamentali per un commercio mondiale aperto e stabile.
Qualche settimana dopo possiamo constatare che l’atteggiamento marziale di Donald Trump si è mitigato. I dazi effettivamente applicati sono spesso notevolmente inferiori a quelli annunciati o sono stati sospesi. Anche i toni aggressivi del Liberation Day ha lasciato spazio a un vocabolario più conciliante. Si parla ovunque di «buoni affari» tra «buoni partner». A quanto pare, i mercati hanno un po’ domato Trump.
Ma non bisogna farsi trarre in inganno: quest’anno gli Stati Uniti applicano molti più dazi doganali rispetto al passato e di importo più elevato. Le conseguenze saranno tangibili, sotto forma di un aumento dell’inflazione e di un rallentamento della crescita. A medio termine, le aziende si allineeranno, ma a breve termine sentiranno il contraccolpo. Tuttavia, siamo lontani dalla «fine del mondo» inizialmente evocata da alcuni commentatori. Quale lezione possiamo trarne quindi? Di fronte alle dichiarazioni di Trump bisogna mantenere il sangue freddo. Non vanno prese alla lettera. Sono però da prendere molto sul serio, soprattutto quando si tratta dei rapporti con la Cina.
Washington e Pechino si stanno contendendo il ruolo di leader globale a livello economico e politico. Il risultato di questa contesa è facile da prevedere. A lungo termine, l’ascesa della Cina non potrà essere di certo arrestata. Lo si vede già dal fatto che anche in tempi di crisi l’economia cinese cresce più rapidamente di quanto sappia fare quella americana in anni molto floridi. È solo questione di tempo prima che avvenga il sorpasso e nessuna politica commerciale potrà impedirlo.
Fino ad allora, gli Stati Uniti e la Cina continueranno ad alimentare la loro rivalità. Per il momento ciò significa ulteriori tensioni, anche se dopo i negoziati a Ginevra entrambe le parti si sono espresse positivamente. Oltre ai dazi ci sono però anche altri attriti di natura geopolitica, basti pensare alla questione di Taiwan o alla disputa sui diritti di sovranità nel Mar Cinese Meridionale.
Nel frattempo, prima che questi focolai di crisi si infiammino, l’aumento dei dazi comporterà un incremento dell’inflazione negli Stati Uniti che andrà di pari passo con un rallentamento dell’economia. Normalmente, ci si dovrebbe addirittura aspettare una recessione, l’unico evento in grado di abbassare l’inflazione. Crescita che arranca, inflazione che aumenta o addirittura l’arrivo di una recessione: tutti fattori che depongono contro un’eccessiva propensione al rischio sui mercati finanziari.
Rimaniamo dunque cauti. È troppo presto per correre grossi rischi.